Le opere del maestro giapponese Katsushika Hokusai sono in esposizione a Palazzo Blu di Pisa dal 24 ottobre 2024 al 23 febbraio 2025. Un percorso straordinario tra oltre 200 opere, che permettono di conoscere il massimo esponente dell’Ukiyoe, il filone artistico legato allo stile di vita e ai gusti delle nuove classi emergenti dell’allora città di Edo, oggi Tokyo.
Biografia in breve
Hokusai nacque a Edo nel 1760 con il nome di Tokitarō, terzo figlio di Kawamura Itiroyemon. Probabilmente sua madre era una concubina, dal momento che all’età di quattro anni venne adottato dai Nakajima, una prestigiosa famiglia di artigiani fabbricanti di specchi al servizio dello shogunato Tokugawa.
All’età di dodici anni Hokusai lavorò come fattorino in una biblioteca ambulante, mentre a quattordici iniziò l’apprendistato presso un intagliatore di matrici tipografiche, mentre a diciotto anni abbandonò la professione per entrare nello studio di Katsukawa Shunshō, uno degli artisti ukiyoe più celebri dei suoi tempi, dove si specializzò nella produzione di stampe a soggetto teatrale e nell’illustrazione di romanzi popolari.
Dopo la morte di Shunshō nel 1793, Hokusai sviluppò uno stile più personale, ispirandosi sia dalle scuole giapponesi di pittura ma anche dalla pittura europea, soprattutto olandese e francese. Hokusai fu costretto a lasciare lo studio e in questa occasione prese la curiosa abitudine di cambiare continuamente residenza, vivendo non più di uno o due mesi nello stesso posto.
Hokusai visse in povertà e si dedicò per un periodo alla vendita ambulante di spezie e almanacchi. Dopo un lavoro su commissione ben retribuito, si cimentò nella produzione di surimono (cartoline di fine anno e altre festività) e di illustrazioni di kyōka ehon (libretti satirici), iniziando a farsi un nome nell’ambiente dell’arte giapponese.
Mentre l’ukiyoe diventava sempre più popolare, Hokusai introdusse nuovi soggetti come i paesaggi e le immagini di fiori e animali, oltre a quelli tradizionali come le beltà femminili e i guerrieri.
Nel 1795 Hokusai assunse per un breve periodo la direzione dell’atelier Tawaraya, adottando lo pseudonimo di Hokusai, la forma abbreviata di Hokushinsai, “studio della Stella polare”, scelto in onore della divinità buddhista Myōken e come simbolo di buon auspicio. Katsushika deriva invece dal nome dell’area in cui era situato il quartiere di Honjō.
Nella primavera del 1804 Hokusai portò a termine una serie di opere mastodontiche davanti a una grande folla, dimostrando il suo talento anche in occasione di concorsi che gli valsero la chiamata al cospetto dello shōgun Tokugawa Ienari, dove ebbe modo di fare mostra delle sue doti, iniziando anche ad accettare studenti e apprendisti.
Hokusai andò nuovamente incontro a gravi problemi economici che finirono per influenzare la sua produzione artistica, concentrandosi sull’illustrazione di libri e sulla pubblicazione di manuali per principianti e professionisti, viaggiando tra Nagoya, Osaka e Kyoto in cerca di apprendisti e studenti da ingaggiare.
Riuscì a tornare a Edo solo nel 1836, un periodo difficile in cui la carestia aveva fatto calare la richiesta di opere d’arte. Pochi anni dopo, mentre la sua popolarità stava venendo offuscata da quella di Utagawa Hiroshige, il suo studio andò distrutto in un incendio e la maggior parte dei suoi lavori perduti. Verso i settant’anni fu colpito da apoplessia, dalla quale riuscì fortunatamente a riprendersi.
A fine carriera cominciò a definirsi “il vecchio pazzo per la pittura”, producendo alcune tra le sue opere più importanti. Morì nel 1849, mentre se ne prendeva cura sua figlia, Ōi, anch’essa una famosa artista.
La mostra a Palazzo Blu di Pisa
Per un amante del Giappone come me, è stato davvero interessante fare questa full immersion nel suo percorso artistico, un viaggio inaspettato attraverso paesaggi iconici, costumi tradizionali, animali fantastici e tanta quotidianità, il tutto caratterizzato da una minuziosa attenzione al dettaglio che mi ha davvero affascinato.
Nella sua lunga carriera, durata oltre 60 anni a cavallo tra la seconda metà del XVIII secolo e la prima metà del XIX, Hokusai ha sperimentato diverse forme artistiche, grandi stampe, biglietti augurali, inviti in edizione limitata, pittura su rotolo, manuali da disegno…e molto altro ancora.
La prima sezione della mostra è dedicata alle sue famose serie paesaggistiche, tra cui le Vedute di ponti famosi, le Cascate famose in varie province e le Trentasei vedute del Monte Fuji realizzate tra il 1830 e il 1832.
La celeberrima opera “La grande onda presso la costa di Kanagawa” merita tutta la sua fama. Straordinaria e senza tempo, è accompagnata da un’interessante opera del collettivo TeamLab che con “Memory of Waves” proietta lo spettatore davanti a un mare in tempesta dove il potente e continuo moto delle onde diventa quasi ipnotico.
In questa serie di opere ho guardato con curiosità al ruolo del monte Fuji, la più alta montagna vulcanica del Giappone, il luogo sacro degli dei secondo il pensiero religioso shintoista, che con la sua presenza discreta e mai invadente, ma allo stesso tempo maestosa e solenne, diventa lo sfondo di scene di vita quotidiana raffigurate con estrema delicatezza.
La sezione suggestiva contiene gli Shunga, le immagini di primavera, ovvero le immagini erotiche che circolavano sottobanco per non incappare nella censura governativa. Queste stampe policrome potevano essere appese oppure ammirate privatamente o addirittura date alle giovani donne in dote. Tra queste è presente la famosa immagine della pescatrice di perle e del polipo gigante, caratterizzata, come anche le altre raffigurazione, da soggetti con i genitali di proporzioni esagerate.
Si prosegue con i Manga, letteralmente Schizzi sparsi di Hokusai. Educazione dei principianti tramite lo spirito delle cose, ovvero 15 volumi che miravano a offrire una guida agli allievi e a chiunque volesse avvicinarsi alla pittura. I manuali presentanoo disegni sul classico soggetto di fiori e uccelli; modelli per artigiani, motivi decorativi applicabili nel settore tessile, della lacca, della ceramica, del metallo; manuali sul colore e sulla danza.
Con il nome d’arte di Manji, Hokusai realizzò due serie di fogli sciolti stampati in policromia destinati al grande mercato con il titolo Specchio dei poeti giapponesi e cinesi e Cento poesie per cento poeti in Racconti illustrati dalla Balia.
Al piano superiore è presente una sezione dedicata ai Surimono, ovvero cose stampate, una produzione ukiyoe raffinata e realizzata per una committenza privata molto ristretta che prevede biglietti augurali e commemorativi, calendari e inviti, destinati a circoli poetici o scambiati in determinate occasioni. Davvero interessante vedere come a volte i poeti abbiano aggiunto versi poetici o in prosa.
L’ultima parte è dedicata all’Hokusai pittore dove si può apprezzare la sua sensibilità verso i materiali, il colore e la linea. Mentre inizialmente si dedicò alla raffigurazione di linee fluide e di figure sottili, con il passare del tempo si dedicò a soggetti più spirituali e benaugurali che dovevano accompagnarlo e proteggerlo: animali leggendari, come leoni cinesi, tigri, carpe e draghi che ascendono al cielo.
L’influenza di Hokusai
Hokusai è stato in grado di influenzare grandi artisti del passato come Degas, Toulouse-Lautrec ed Emile Gallé, nonché gli impressionisti europei come Claude Monet e post-impressionisti come Vincent van Gogh e il pittore francese Paul Gauguin, dando avvio al movimento del giapponismo, ispirato anche al lavoro di Utamaro e Hiroshige.
Anche in epoca contemporanea è possibile individuare l’influenza di Hokusai all’interno delle opere di artisti del pop, della grafica e del digitale quali Yoshitomo Nara, Manabu Ikeda, TeamLab e Simone Legno / Tokidoki. Le nuove tecnologie, combinate alle stampe ukiyoe, hanno riconfermato originalità e attualità di questo filone artistico.
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Conoscevi la Grande Onda di Hokusai? Hai mai visto altre opere del maestro? Ti incuriosisce l’arte giapponese? Fammelo sapere nei commenti.
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