Era davvero tanto tempo che avevo intenzione di visitare il cimitero monumentale di Staglieno, da quando mi ero imbattuta su Internet in alcuni immagini che raffiguravano statue davvero interessanti ed evocative. Non ne avevo ancora avuto l’occasione finché non abbiamo deciso di organizzare una gita quotidiana che prevedeva una passeggiata mattutina a Rapallo, un bel pranzo di pesce sul lungomare e l’arrivo a Genova nel primo pomeriggio per visitare il cimitero.
La nostra giornata è stata messa a dura prova dagli eventi, purtroppo abbiamo incontrato ben 5 incidenti lungo l’autostrada che hanno fatto aumentare a dismisura i tempi previsti di percorrenza…Ma non abbiamo desistito, la sosta a Rapallo è saltata, abbiamo pranzato in macchina con un panino imbottigliati nel traffico e siamo finalmente arrivati a Staglieno ormai alle 14,30 del pomeriggio quando l’orario di chiusura previsto sono le 17.
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La storia di Staglieno
Il cimitero di Staglieno, oltre a essere il principale cimitero della città di Genova, è uno dei più importanti d’Europa, definito dallo scrittore Ernest Hemingway una delle meraviglie del mondo. Riposano qui molti personaggi illustri, provenienti da epoche diverse e diversi ambiti sociali e culturali.
Nel 1804 l’editto napoleonico di Saint-Cloud aveva vietato le sepolture nei centri abitati, per cui nel 1835 fu progettato il cimitero di Staglieno da parte dell’architetto Carlo Barabino, progetto che dopo la sua repentina morte di colera passò al suo collaboratore Giovanni Battista Resasco. I lavori iniziarono nel 1844 nell’area poco abitata su cui sorgeva la villa Vaccarezza e il 2 gennaio 1851 la struttura fu aperta al pubblico.
La struttura
La struttura del cimitero di Staglieno è stata più volte modificata e ampliata nel corso dei decenni, fino a comprendere un’area di circa 330.000 metri quadrati suddivisa in 7 settori.
Settore A
Il Porticato Inferiore è la sezione da cui ha avuto origine lo sviluppo del cimitero di Staglieno. Quello che colpisce maggiormente di questa sezione è il realismo che caratterizza i monumenti, le cui sculture sono rese con una grande dovizia di particolari, nei costumi, nelle espressioni e nella manifestazione dei sentimenti.
Il punto di intersezione delle gallerie perpendicolari coincide con la statua della Fede dello scultore Santo Varni, alta ben 9 metri.
Caterina Campodonico
In questo settore di Staglieno si trova anche il monumento funebre dedicato a Caterina Campodonico, conosciuta anche come la “venditrice di noccioline”. Questa statua è davvero interessante per diversi motivi, innanzitutto fu commissionata dalla stessa venditrice quando era ancora in vita al noto scultore Lorenzo Orengo, molto in voga nelle classi borghesi. Per potersi permettere una tale commissione, Caterina utilizzò tutto il denaro guadagnato in vita vendendo canestrelli e collane di noccioline.
Si trattava infatti di una donna di umili origini proveniente dal quartiere popolare di Portoria, che aveva lavorato tutta la vita come venditrice ambulante nei mercati e che qui è volutamente ritratta con la mercanzia stretta tra le sue mani. Un contrasto molto curioso con gli altri monumenti funebri del porticato dove famosi personaggi borghesi di ceti sociali più elevati esibiscono i loro strumenti professionali e di ricchezza.
Alla base del monumento, è inserita una bella epigrafe di Giambattista Vigo in dialetto genovese, che così recita:
Vendendo collane e ciambelle
All’Acquasanta, al Garbo a San Cipriano
Con vento e sole e con acqua a catinelle
Per assicurarmi un pane nella vecchiaia
Fra i pochi soldi mettevo via
Quelli per tramandarmi nel tempo
Mentre son viva e son vera portoriana
Caterina Campodonico (la paesana)
Da questa mia memoria se vi piace
Voi che passate pregatemi la pace
Settore B
Il Porticato Semicircolare storico consiste nel primo ingrandimento rispetto al nucleo originario di Staglieno, sempre ad opera dell’architetto Giovanni Battista Resasco.
I monumenti funebri di questa zona hanno lasciato da parte il realismo borghese e sono caratterizzati dal simbolismo liberty e déco, con figure femminili velate, sensuali e misteriose. In prossimità del centro del Porticato Semicircolare si trova il Tempio Crematorio.
Settore C
Non abbiamo visitato, per questioni di tempo a disposizione, questo settore, con l’area del Porticato Sant’Antonino, Porticato Montino, Area di Accoglienza, che si sviluppa tra la cappella mortuaria e l’area acattolica. La parte del Porticato S. Antonino, inaugurato nel 1955, fu l’ultimo intervento architettonico rilevante a Staglieno.
Settore D
Il Pantheon o Cappella dei Suffragi, aperta al culto nel 1878, è davvero imponente e suggestivo, preceduto da un’ampia scalinata di marmo bianco.
Abbiamo visto la struttura solamente dall’esterno, ma anche l’interno deve essere molto interessante dal momento che vi sono sepolti genovesi illustri, circondati da statue e bassorilievi in marmo e bronzo. Lo stile che prevale in questa area è indubbiamente il neoclassicismo.
Si tratta di una copia del Pantheon di Roma, con uno splendido pronao di colonne in stile dorico, fiancheggiato da due statue in marmo che rappresentano i profeti biblici Giobbe e Geremia.
Nei due porticati simmetrici laterali si trovano altri monumenti di particolare prestigio:
Valente Celle
Il monumento funebre eseguito per il ricco commerciante Valente Celle è davvero suggestivo. Lo scultore Giulio Monteverde raffigura il Dramma Eterno della Vita, rappresentata come una donna giovane e di bell’aspetto, che tenta di sottrarsi dall’abbraccio implacabile ed eterno della Morte, rigida, seria e impassibile.
Raffaele Pienovi
Questo monumento funebre di Giovanni Battista Villa fu commissionato dalla vedova di Raffaele Pienovi. Anche questa scultura è particolarmente bella, ma per motivi completamente differenti. La moglie scosta il lenzuolo dal volto del marito per poterlo guardare per l’ultima volta, permettendo così al visitatore di entrare, quasi in punta di piedi, in una dimensione intima e privata.
Tomba Oneto
Siamo arrivati così a una delle sculture per me più affascinanti tra tutte quelle viste: l’Angelo di Monteverde o Angelo della Resurrezione presente sulla Tomba Oneto. Nel 1882 lo scultore Giulio Monteverde ha qui raffigurato una statua imperturbabile, a tratti sensuale, ambigua e misteriosa.
Settore E
Questo Settore si sviluppa a partire del Pantheon, una zona davvero suggestiva e diversa dalle altre in quanto costruita anche in altezza, a voler seguire l’andamento della natura. Arriviamo al Boschetto Irregolare o Boschetto dei Mille, caratterizzato da una ricca vegetazione che rende questa parte, suddivisa in piccole stradine che si inerpicano sulla collina, ombreggiata e riservata. Anche in questa parte si susseguono i monumenti più disparati, dedicati a defunti di differenti età e ceti sociali, dalle lapidi più semplici alle cappelle di grandi dimensioni.
Del Settore fanno parte anche spazi più ampi, come la Valletta Pontasso e il Campo dei Mille, dove riposano i caduti di molte campagne risorgimentali.
Giuseppe Mazzini
Nel Boschetto Irregolare si trova il mausoleo progettato dall’architetto Grasso in stile neoclassico. L’ingresso è severo e imponente con le due colonne doriche a sostenere l’architrave dove è scritto il nome di Giuseppe Mazzini. Non abbiamo visitato l’interno, suddiviso in un atrio e una cripta circondata dalle stesse bandiere che accompagnarono il defunto durante le esequie. Sono molto interessanti le lapidi di marmo posizionate sulle rocce esterne, contenenti dediche per il defunto, come quella da parte del premier inglese Lloyd George, dei poeti Giosuè Carducci e Gabriele D’Annunzio.
Maria Mazzini
Proprio davanti al mausoleo si trova la tomba di Maria Drago, madre di Giuseppe Mazzini. Nata a Genova nel 1774 in una famiglia di ricchi mercanti, aveva sposato Giacomo Mazzini, dottore e professore di Anatomia e Fisiologia presso l’Università di Genova e aveva contribuito, con la sua educazione e il rigoroso moralismo, alla formazione del figlio Giuseppe.
Settore F
Purtroppo non siamo riusciti a visitare nemmeno l’area policonfessionale – Testero, dove si trovano il Cimitero Ebraico, quello dei Protestanti, il Cimitero Greco-Ortodosso e il Cimitero degli Inglesi dove si trova la tomba di Constance Lloyd, moglie di Oscar Wilde.
Settore G
L’ultimo settore ospita il Sacrario dei Caduti inaugurato nel 1936, contenente anche i caduti della Grande Guerra.
I personaggi di Staglieno
Nel cimitero monumentale di Staglieno sono sepolti molti personaggi famosi come Giuseppe Mazzini, del quale abbiamo visto il Mausoleo, il presidente del Consiglio e partigiano Ferruccio Parri, il compositore della musica dell’Inno d’Italia Michele Novaro, numerosi garibaldini, la scrittrice Fernanda Pivano, il poeta Edoardo Sanguineti, Nino Bixio, il cantautore Fabrizio De André.
Come organizzare la visita
Impossibile visitare tutto il cimitero di Staglieno in un giorno, ancora di più in un pomeriggio come abbiamo tentato di fare noi. All’ingresso si trovano un punto informazioni e una mappa dell’area, ma abbiamo comunque trovato molto difficile orientarci in alcune zone.
Si tratta di un museo a cielo aperto dalle vastissime dimensioni e per il visitatore c’è davvero tanto da vedere…ma non bisogna dimenticarci che si tratta prima di tutto di un cimitero, un luogo che richiede silenzio, rispetto e decoro per la sua visita.
Ci sono alcuni piccoli cartelli che segnalano le tombe più famose come quella di Giuseppe Mazzini e di Caterina Campodonico, per il resto è necessario provare a orientarsi e trovare in autonomia la propria meta. E, se non si trova, poco male, Staglieno è così grande e ha così tanto da offrire, che sicuramente ciascun monumento funebre che si incontra riesce a suscitare interesse, curiosità e talvolta commozione.
Si può anche seguire un itinerario tematico, come suggerito sul sito ufficiale, oppure prendere parte a una visita guidata per ottimizzare al massimo la propria visita.
Perché visitare il cimitero monumentale
Questa è una bella domanda che mi sono sentita spesso rivolgere.
Staglieno merita sicuramente una visita per tanti motivi. Se si ama la storia, una passeggiata al suo interno permette di camminare nella storia italiana più recente, una storia di guerre (molti sono i caduti che qui riposano, molte lapidi sono accompagnate da residui bellici), una storia di esplorazioni geografiche (ci sono tombe con utensili della marineria), una storia quotidiana (osservare i monumenti funebri con i loro abiti e accessori appartenenti a decenni e addirittura secoli diversi è una continua scoperta).
Non si può restare delusi se si ama l’arte, visto che si susseguono uno dopo l’altro cappelle e monumenti riprodotti in stili diversi, il realismo, il simbolismo, il neoclassicismo, il liberty…Non sono i settori si differenziano per il loro stile e periodo di origine, ma addirittura le parti all’interno dello stesso settore.
Non si può non visitare Staglieno se si amano i luoghi fuori dal tempo e dallo spazio, dove l’inesorabile trascorrere del tempo ha fatto calare su tutti i monumenti di marmo candido una patina di polvere che regala dei suggestivi contrasti di colore e giochi di luce e ombre.
Si deve visitare Staglieno se si ama la vita, perché a ogni porticato, ogni galleria, ogni parco, ogni lapide, se si dedica del tempo a leggere i nomi e a osservare i volti e le espressioni delle statue, si percepiscono i sentimenti di chi, a differenza loro, è rimasto e ha voluto lasciare un ricordo senza fine dei propri cari.
E tu hai mai visitato un cimitero monumentale? In quale città? Fammelo sapere nei commenti!
Se ami viaggiare per luoghi abbandonati, nella sezione Toscana del blog puoi trovarne molti altri!
A chiusura di questo articolo riporto dei versi che mi sono tornati alla mente (ormai dai tempi della scuola!) Dei Sepolcri di Ugo Foscolo, un carme davvero appropriato che ho voluto rileggere in questa occasione.
All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
Confortate di pianto è forse il sonno
Della morte men duro? Ove più il Sole
Per me alla terra non fecondi questa
Bella d’erbe famiglia e d’animali,
E quando vaghe di lusinghe innanzi
A me non danzeran l’ore future,
Nè da te, dolce amico, udrò più il verso
E la mesta armonia che lo governa,
Nè più nel cor mi parlerà lo spirto
Delle vergini Muse e dell’Amore,
Unico spirto a mia vita raminga,
Qual fia ristoro a’ dì perduti un sasso
Che distingua le mie dalle infinite
Ossa che in terra e in mar semina morte?
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
Ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve
Tutte cose l’obblio nella sua notte;
E una forza operosa le affatica
Di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe
E l’estreme sembianze e le reliquie
Della terra e del ciel traveste il tempo.
Ma perchè pria del tempo a sè il mortale
Invidierà l’illusion che spento
Pur lo sofferma al limitar di Dite?
Non vive ei forse anche sotterra, quando
Gli sarà muta l’armonia del giorno,
Se può destarla con soavi cure
Nella mente de’ suoi? Celeste è questa
Corrispondenza d’amorosi sensi,
Celeste dote è negli umani; e spesso
Per lei si vive con l’amico estinto
E l’estinto con noi, se pia la terra
Che lo raccolse infante e lo nutriva,
Nel suo grembo materno ultimo asilo
Porgendo, sacre le reliquie renda
Dall’insultar de’ nembi e dal profano
Piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
E di fiori adorata arbore amica
Le ceneri di molli ombre consoli.
Sol chi non lascia eredità d’affetti
Poca gioia ha dell’urna; e se pur mira
Dopo l’esequie, errar vede il suo spirto
Fra ’l compianto de’ templi Acherontei,
O ricovrarsi sotto le grandi ale
Del perdono d’lddio: ma la sua polve
Lascia alle ortiche di deserta gleba
Ove nè donna innamorata preghi,
Nè passeggier solingo oda il sospiro
Che dal tumulo a noi manda Natura.
Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
Fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti
Contende. E senza tomba giace il tuo
Sacerdote, o Talia, che a te cantando
Nel suo povero tetto educò un lauro
Con lungo amore, e t’appendea corone;
E tu gli ornavi del tuo riso i canti
Che il lombardo pungean Sardanapalo,
Cui solo è dolce il muggito de’ buoi
Che dagli antri abduani e dal Ticino
Lo fan d’ozi beato e di vivande.
O bella Musa, ove sei tu? Non sento
Spirar l’ambrosia, indizio del tuo nume,
Fra queste piante ov’io siedo e sospiro
Il mio tetto materno. E tu venivi
E sorridevi a lui sotto quel tiglio
Ch’or con dimesse frondi va fremendo
Perchè non copre, o Dea, l’urna del vecchio,
Cui già di calma era cortese e d’ombre.
Forse tu fra plebei tumuli guardi
Vagolando, ove dorma il sacro capo
Del tuo Parini? A lui non ombre pose
Tra le sue mura la città, lasciva
D’evirati cantori allettatrice,
Non pietra, non parola; e forse l’ossa
Col mozzo capo gl’insanguina il ladro
Che lasciò sul patibolo i delitti.
Senti raspar fra le macerie e i bronchi
La derelitta cagna ramingando
Su le fosse e famelica ululando;
E uscir del teschio, ove fuggìa la Luna,
L’ùpupa, e svolazzar su per le croci
Sparse per la funerea campagna,
E l’immonda accusar col luttuoso
Singulto i rai di che son pie le stelle
Alle obblîate sepolture. Indarno
Sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade
Dalla squallida notte. Ahi! sugli estinti
Non sorge fiore ove non sia d’umane
Lodi onorato e d’amoroso pianto:Dal dì che nozze e tribunali ed are
Dier alle umane belve esser pietose
Di sè stesse e d’altrui, toglieano i vivi
All’etere maligno ed alle fere
I miserandi avanzi che Natura
Con veci eterne a’ sensi altri destina.
Testimonianza a’ fasti eran le tombe,
Ed are a’ figli; e uscìan quindi i responsi
De’ domestici Lari, e fu temuto
Su la polve degli avi il giuramento:
Religïon che con diversi riti
Le virtù patrie e la pietà congiunta
Tradussero per lungo ordine d’anni.
Non sempre i sassi sepolcrali a’ templi
Fean pavimento; nè agl’incensi avvolto
De’ cadaveri il lezzo i supplicanti
Contaminò; nè le città fur meste
D’effigïati scheletri: le madri
Balzan ne’ sonni esterrefatte, e tendono
Nude le braccia su l’amato capo
Del lor caro lattante, onde nol desti
Il gemer lungo di persona morta
Chiedente la venal prece agli eredi
Dal santuario. Ma cipressi e cedri
Di puri effluvi i zefiri impregnando
Perenne verde protendean su l’urne
Per memoria perenne; e prezïosi
Vasi accogliean le lagrime votive.
Rapìan gli amici una favilla al Sole
A illuminar la sotterranea notte,
Perchè gli occhi dell’uom cercan morendo
Il Sole; e tutti l’ultimo sospiro
Mandano i petti alla fuggente luce.
Le fontane versando acque lustrali
Amaranti educavano e viole
Su la funebre zolla; e chi sedea
A libar latte o a raccontar sue pene
Ai cari estinti, una fragranza intorno
Sentia qual d’aura de’ beati Elisi.
Pietosa insania che fa cari gli orti
De’ suburbani avelli alle britanne
Vergini, dove le conduce amore
Della perduta madre, ove clementi
Pregaro i Geni del ritorno al prode
Che tronca fe’ la trîonfata nave
Del maggior pino, e si scavò la bara.
Ma ove dorme il furor d’inclite gesta
E sien ministri al vivere civile
L’opulenza e il tremore, inutil pompa
E inaugurate immagini dell’Orco
Sorgon cippi e marmorei monumenti.
Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,
Decoro e mente al bello Italo regno,
Nelle adulate reggie ha sepoltura
Già vivo, e i stemmi unica laude. A noi
Morte apparecchi riposato albergo,
Ove una volta la fortuna cessi
Dalle vendette, e l’amistà raccolga
Non di tesori eredità, ma caldi
Sensi e di liberal carme l’esempio.A egregie cose il forte animo accendono
L’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
E santa fanno al peregrin la terra
Che le ricetta. Io quando il monumento
Vidi ove posa il corpo di quel grande
Che, temprando lo scettro a’ regnatori,
Gli allor ne sfronda, ed alle genti svela
Di che lagrime grondi e di che sangue;
E l’arca di colui che nuovo Olimpo
Alzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide
Sotto l’etereo padiglion rotarsi
Più Mondi, e il Sole irradiarli immoto,
Onde all’Anglo che tanta ala vi stese
Sgombrò primo le vie del firmamento:
Te beata, gridai, per le felici
Aure pregne di vita, e pe’ lavacri
Che da’ suoi gioghi a te versa Apennino!
Lieta dell’aer tuo veste la Luna
Di luce limpidissima i tuoi colli
Per vendemmia festanti, e le convalli
Popolate di case e d’oliveti
Mille di fiori al ciel mandano incensi:
E tu prima, Firenze, udivi il carme
Che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,
E tu i cari parenti e l’idïoma
Dèsti a quel dolce di Calliope labbro,
Che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma
D’un velo candidissimo adornando,
Rendea nel grembo a Venere Celeste;
Ma più beata che in un tempio accolte
Serbi l’Itale glorie, uniche forse
Da che le mal vietate Alpi e l’alterna
Onnipotenza delle umane sorti,
Armi e sostanze t’invadeano, ed are
E patria, e, tranne la memoria, tutto.
Che ove speme di gloria agli animosi
Intelletti rifulga ed all’Italia,
Quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi
Venne spesso Vittorio ad ispirarsi,
Irato a’ patrii Numi; errava muto
Ove Arno è più deserto, i campi e il cielo
Desîoso mirando; e poi che nullo
Vivente aspetto gli molcea la cura,
Qui posava l’austero; e avea sul volto
Il pallor della morte e la speranza.
Con questi grandi abita eterno: e l’ossa
Fremono amor di patria. Ah sì! da quella
Religïosa pace un Nume parla:
E nutrìa contro a’ Persi in Maratona
Ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi,
La virtù greca e l’ira. Il navigante
Che veleggiò quel mar sotto l’Eubea,
Vedea per l’ampia oscurità scintille
Balenar d’elmi e di cozzanti brandi,
Fumar le pire igneo vapor, corrusche
D’armi ferree vedea larve guerriere
Cercar la pugna; e all’orror de’ notturni
Silenzi si spandea lungo ne’ campi
Di falangi un tumulto e un suon di tube
E un incalzar di cavalli accorrenti
Scalpitanti su gli elmi a’ moribondi,
E pianto, ed inni, e delle Parche il canto.Felice te che il regno ampio de’ venti,
Ippolito, a’ tuoi verdi anni correvi!
E se il piloto ti drizzò l’antenna
Oltre l’isole Egée, d’antichi fatti
Certo udisti suonar dell’Ellesponto
I liti, e la marea mugghiar portando
Alle prode Retèe l’armi d’Achille
Sovra l’ossa d’Ajace: a’ generosi
Giusta di glorie dispensiera è morte:
Nè senno astuto, nè favor di regi
All’Itaco le spoglie ardue serbava,
Chè alla poppa raminga le ritolse
L’onda incitata dagl’inferni Dei.
E me che i tempi ed il desio d’onore
Fan per diversa gente ir fuggitivo,
Me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
Del mortale pensiero animatrici.
Siedon custodi de’ sepolcri, e quando
Il tempo con sue fredde ale vi spazza
Fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
Di lor canto i deserti, e l’armonia
Vince di mille secoli il silenzio.
Ed oggi nella Tròade inseminata
Eterno splende a’ peregrini un loco
Eterno per la Ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,
Onde fur Troja e Assàraco e i cinquanta
Talami e il regno della Giulia gente.
Però che quando Elettra udì la Parca
Che lei dalle vitali aure del giorno
Chiamava a’ cori dell’Eliso, a Giove
Mandò il voto supremo: E se diceva,
A te fur care le mie chiome e il viso
E le dolci vigilie, e non mi assente
Premio miglior la volontà de’ fati,
La morta amica almen guarda dal cielo
Onde d’Elettra tua resti la fama.
Così orando moriva. E ne gemea
L’Olimpio; e l’immortal capo accennando
Piovea dai crini ambrosia su la Ninfa
E fe’ sacro quel corpo e la sua tomba.
Ivi posò Erittonio: e dorme il giusto
Cenere d’Ilo; ivi l’Iliache donne
Sciogliean le chiome, indarno, ahi! deprecando
Da’ lor mariti l’imminente fato;
Ivi Cassandra, allor che il Nume in petto
Le fea parlar di Troja il dì mortale,
Venne; e all’ombre cantò carme amoroso,
E guidava i nepoti, e l’amoroso
Apprendeva lamento a’ giovinetti.
E dicea sospirando: Oh se mai d’Argo,
Ove al Tidide e di Laerte al figlio
Pascerete i cavalli, a voi permetta
Ritorno il cielo, invan la patria vostra
Cercherete! le mura, opra di Febo,
Sotto le lor reliquie fumeranno;
Ma i Penati di Troja avranno stanza
In queste tombe; chè de’ Numi è dono
Servar nelle miserie altero nome.
E voi palme e cipressi che le nuore
Piantan di Priamo, e crescerete ahi! presto
Di vedovili lagrime innaffiati.
Proteggete i miei padri: e chi la scure
Asterrà pio dalle devote frondi
Men si dorrà di consanguinei lutti
E santamente toccherà l’altare,
Proteggete i miei padri. Un dì vedrete
Mendico un cieco errar sotto le vostre
Antichissime ombre, e brancolando
Penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,
E interrogarle. Gemeranno gli antri
Secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
Splendidamente su le mute vie
Per far più bello l’ultimo trofeo
Ai fatati Pelìdi. Il sacro vate,
Placando quelle afflitte alme col canto,
I prenci argivi eternerà per quante
Abbraccia terre il gran padre Oceàno.
E tu, onore di pianti, Ettore, avrai,
Ove fia santo e lagrimato il sangue
Per la patria versato, e finchè il Sole
Risplenderà su le sciagure umane.